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ELENCO POST:

domenica 30 giugno 2019

GIOVE il pianeta più grande del sistema solare. by Andreotti Roberto - INSA.

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Aggiornato il 15/08/2020

GIOVE


                                                                                                                                      
Jupiter New Horizons.jpg

Giove (5,203 UA), con 320,33 masse terrestri, possiede 2,5 volte la massa di tutti gli altri pianeti messi insieme.
Compie una rivoluzione intorno al Sole ogni 11,864 anni.
Giove ed i suoi satelliti ricevono 50,16 W/m2 di energia dal Sole.

DIMENSIONI:
Ha un diametro equatoriale di 142.984 km ed un diametro polare di 133.709 km.
Ha un forte schiacciamento ai poli a causa anche della rapida rotazione (9h 55' 29,5'').
L'inclinazione dell'asse di rotazione è relativamente piccola, solamente 3,13º, e precede ogni 12 000 anni, di conseguenza, il pianeta non sperimenta significative variazioni stagionali, contrariamente a quanto accade sulla Terra e su Marte.


Un Potente Campo Magnetico:
Creato dalle correnti elettriche all'interno del mantello di idrogeno metallico si genera un campo magnetico dipolare, inclinato di 10º rispetto all'asse di rotazione di Giove.
Il campo raggiunge un'intensità variabile tra 0,42 millitesla - mT - all'equatore e 1,3 mT ai poli, che lo rende il più intenso campo magnetico del sistema solare, eccetto quello nelle macchie solari, e ben 14 volte superiore al campo magnetico terrestre.
Il campo magnetico di Giove preserva la sua atmosfera dalle interazioni con il vento solare deflettendolo e creando una regione appiattita, la magnetosfera, costituita da un plasma di composizione molto differente da quello del vento solare.
La magnetosfera gioviana è la più grande e imponente fra tutte le magnetosfere dei pianeti del sistema solare, nonché la struttura più grande di tutto il sistema, apparte il Sole e si estende nel sistema solare esterno per molte volte il raggio di Giove (RJ) e raggiunge un'ampiezza massima che può superare anche l'orbita di Saturno.

Le correnti elettriche delle fasce di radiazione generano delle emissioni radio di frequenza variabile tra 0,6 e 30 MHz, che rendono Giove un'importante radiosorgente. Le prime analisi, condotte da Burke e Franklin, rivelarono che l'emissione è caratterizzata da flash intorno ai 22,2 MHz e che il loro periodo coincideva con il periodo di rotazione del pianeta, la cui durata fu quindi determinata con maggiore accuratezza. Essi riconobbero inizialmente due tipologie di emissione: i lampi lunghi (long o L-bursts), della durata di alcuni secondi, e i lampi corti (short o S-bursts), che durano poco meno di un centesimo di secondo.
Sono state in seguito scoperte altre tre forme di segnale radio trasmesse dal pianeta:
  • Esplosioni radio decametriche (con lunghezze d'onda di decine di metri), che variano con la rotazione del pianeta e sono influenzate dalle interazioni tra Io e la magnetosfera gioviana.
  • Emissioni radio decimetriche (con lunghezze d'onda di alcune decine di centimetri), la cui origine è stata imputata alla radiazione di ciclotrone emessa dagli elettroni accelerati dal campo magnetico in un'area toroidale che ne circonda l'equatore.
  • Irraggiamento termico prodotto dal calore dell'atmosfera del pianeta.
La forte modulazione periodica dell'emissione radio e particellare, che corrisponde al periodo di rotazione del pianeta, rende Giove affine ad una pulsar.[146] È bene comunque considerare che l'emissione radio del pianeta dipende fortemente dalla pressione del vento solare e, quindi, dall'attività solare stessa.


Giove è la fonte delle più forti emissioni radio planetarie nel sistema solare.
Le variazioni di queste emissioni sono sintomatiche delle dinamiche della magnetosfera di Giove e alcune sono state direttamente associate alle Aurore di Giove.
Le emissioni radio più forti sono associate all'interazione di io con il campo magnetico di Giove.
Inoltre, le onde plasmatiche sono pensate per svolgere ruoli importanti nell'accelerazione delle particelle energetiche nella magnetosfera, alcune delle quali influenzano l'atmosfera superiore di Giove generando le aurore.




In foto sopra le tempeste elettriche riprese dalla sonda JUNO ).

Composizione:
Giove è composto in larga parte da idrogeno ed elio.
Il forte calore interno di Giove crea una serie di caratteristiche semipermanenti nella sua atmosfera, come ad esempio la famosa Grande Macchia Rossa.
L'atmosfera alta di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio.
Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno, quindi l'atmosfera gioviana è costituita da un 75% in massa di idrogeno e da un 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue.
Le proporzioni atmosferiche di idrogeno ed elio sono molto vicine a quelle riscontrate nel Sole .


Emissione di calore:
Giove emette più calore di quello che riceve mentre si rimpiccolisce.
Ma perché si rimpicciolisce? E da dove viene l’energia che disperde nello spazio?
Bene, dovete sapere che i due fenomeni sono connessi, e dipendono da quello che viene chiamato Meccanismo Kelvin – Helmholtz, dal nome dei due scienziati che lo studiarono, William Thomson, primo barone Kelvin (si proprio lui, quello dello “zero assoluto”) fisico britannico e Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz fisico tedesco.
Il meccanismo Kelvin – Helmholtz è un processo astronomico che si verifica quando la superficie di un pianeta gassoso si raffredda.
Tale raffreddamento causa una diminuzione della pressione idrostatica e, conseguentemente, il pianeta si restringe, si comprime.
Questa compressione, ha come conseguenza il riscaldamento del nucleo del pianeta.
Tale meccanismo è evidente per pianeti come Giove o Saturno o anche sulle nane brune, in pratica corpi le cui temperature al nucleo non sono sufficienti per provocare la fusione nucleare.
Dunque, la superficie di Giove si “raffredda”, e il pianeta compensa, questo “raffreddamento”, e la conseguente diminuzione della pressione, comprimendosi.

Giove si comprime di circa 2 cm all'anno.

Questa compressione ha come conseguenza il riscaldamento del nucleo planetario, il che provoca un incremento della quantità di calore emessa; come risultato si ha che il pianeta irradia nello spazio una quantità di energia superiore a quella che riceve dal Sole.

Il rapporto emissione/insolazione è pari a circa 1,67.

Una importante conseguenza di ciò è che si ritiene che, agli “inizi” del Sistema Solare, il pianeta dovesse essere grande più o meno il doppio rispetto ad ora.
Inizialmente, verso la fine del 19° secolo, tale meccanismo venne ipotizzato come la causa, l’origine dell’energia del Sole e delle stelle; dovete ricordarvi che ai tempi non si conosceva la fusione nucleare.
Ma ci si rese conto abbastanza presto che tale meccanismo generava un’energia troppo esigua per poter essere il responsabile della generazione dell’energia delle stelle.
Secondo i calcoli tale meccanismo avrebbe potuto fornire energia al Sole per qualche milione di anni, ma pur essendo questo un tempo molto più lungo di molti altri metodi fisici, come ad esempio l'energia chimica, questo valore ovviamente non era ancora abbastanza lungo visto che le prove geologiche e biologiche ci dicono che la Terra ha un’età di miliardi di anni.
Alla fine, nel 20° secolo è stato scoperto che l'energia termonucleare era responsabile della produzione di energia e della lunga vita delle stelle.
(Tratto dal post Facebook di Pino Pini).

Uno scontro fra titani:
La sonda Juno ha recentemente scoperto che il nucleo di Giove è più spappolato di quel che ci si aspettava. Una possibile spiegazione viene ora da uno studio, secondo cui il gigante gassoso ha subito nei sui primi milioni di anni di vita l’impatto frontale con un pianeta in formazione dalla massa pari a 10 volte quella terrestre.
Le rilevazioni della sonda Juno hanno mostrato come il campo magnetico del pianeta si presenti a spot, alternando regioni in cui l’intensità è molto elevata con altre in cui è invece assai debole. Un’evidenza che indica come il nucleo del pianeta, la cui rotazione genera il campo magnetico, sia meno denso e più esteso di quel che ci si aspettava.
Le teorie sulla formazione planetaria prevedono che Giove all’inizio fosse un pianeta denso roccioso o ghiacciato che ha progressivamente raggrumato attorno a sé la sua spessa atmosfera, rastrellandola nel disco di gas e polveri in cui è nato il Sole primordiale.
Quindi si è iniziato a pensare cosa potesse aver sconvolto a tal punto quel nucleo denso, ponendo l'ipotesi secondo cui la causa poteva essere un gigantesco impatto che aveva spappolato il nucleo, stemperandolo negli strati superiori, meno densi.
Lo scenario di collisione è diventato ancora più convincente con i risultati delle simulazioni dell’ipotetico impatto, che mostravano come una collisione avrebbe influenzato il nucleo di Giove. Tenendo conto che corpi approssimativamente delle dimensioni della Terra sarebbero stati sbriciolati completamente prima di arrivare al nucleo di Giove, in base alle simulazioni i ricercatori hanno dedotto che, per ottenere un profilo di densità del nucleo simile a quello misurato ora dalla sonda Juno, lo scenario più plausibile è quello dello scontro frontale con un planetesimo dieci volte più massiccio della Terra.


Anche se l’impatto è avvenuto 4.5 miliardi di anni fa, «ci potrebbero volere ancora molti, molti miliardi di anni affinché gli elementi più pesanti tornino a formare un nucleo denso.

LINK : https://www.nature.com/articles/s41586-019-1470-2 

Atmosfera:
L'atmosfera di Giove è la più estesa atmosfera planetaria del sistema solare, manca di un netto confine inferiore, ma gradualmente transisce negli strati interni del pianeta.
Dal più basso al più alto, gli stati dell'atmosfera sono: troposferastratosferatermosfera ed esosfera; ogni strato è caratterizzato da un gradiente di temperatura specifico. Al confine tra la troposfera e la stratosfera, ovvero la tropopausa, è collocato un sistema complicato di nubi e foschie costituito da stratificazioni di ammoniaca, idrosolfuro di ammonio ed acqua.
L'atmosfera superiore di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio. Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno; l'atmosfera gioviana è quindi costituita da un 75% in massa di idrogeno e da un 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue. La composizione varia leggermente man mano che si procede verso le regioni interne del pianeta, date le alte densità in gioco; alla base dell'atmosfera si ha quindi un 71% in massa di idrogeno, un 24% di elio e il restante 5% di elementi più pesanti e composti: vapore acqueo, ammoniaca, composti del silicio, carbonio e idrocarburi (soprattutto metano ed etano), acido solfidrico, neon, ossigeno, fosforo e zolfo. Nelle regioni più esterne dell'atmosfera sono inoltre presenti dei consistenti strati di cristalli di ammoniaca solida.


Nel grafico la velocità e la direzione dei venti ).

Le Nubi:

La copertura nuvolosa di Giove è spessa all'incirca 50 km e consiste almeno di due strati di nubi di ammoniaca, uno strato inferiore piuttosto denso ed una regione superiore più rarefatta.
I sistemi nuvolosi sono organizzati in fasce orizzontali lungo le diverse latitudini, e si suddividono in zone, di tonalità chiara, e bande, le quali appaiono scure per via della presenza su di esse di una minore copertura nuvolosa rispetto alle zone.
La loro interazione dà luogo a violente tempeste, i cui venti raggiungono, come nel caso delle correnti a getto delle zone, velocità superiori ai 360-400 km/h.
La caratteristica colorazione marrone-arancio delle nubi gioviane è causata da composti chimici complessi, noti come cromofori, che emettono luce in questo colore quando sono esposti alla radiazione ultravioletta solare.

Visione completa di Giove ).

Le tempeste:
Le continue tempeste di Giove sono enormi rispetto a quelle che si verificano sulla Terra, con fulmini che raggiungono un’estensione di 60 chilometri, cinque volte più alti dei tipici fulmini terrestri, e tre volte più energetici di quelli più potenti. Come accade per i fulmini terrestri, anche quelli di Giove agiscono come trasmettitori radio, inviando onde radio e luce visibile quando attraversano il cielo.

Un team di ricercatori guidato da Michael Wong dell’Università della California Berkeley, tra cui Amy Simon del Goddard Space Flight Center della Nasa e Imke de Pater di Berkeley, hanno combinato osservazioni a più frequenze di Hubble e Gemini con quelle riprese da Juno, scoprendo nuove e interessanti caratteristiche del turbolento gigante gassoso.

Mappando i fulmini rilevati da Juno sulle immagini di Hubble, oltre che su quelle a infrarossi catturate contemporaneamente da Gemini, il team è stato in grado di dimostrare che i fulmini sono associati a una combinazione di tre strutture nuvolose:
- nubi profonde cariche di acqua, 
- grandi torri convettive generate dall’aria umida in risalita, 
- regioni chiare presumibilmente generate dall’instaurarsi di una corrente verso il basso di aria più asciutta, fuori dalle torri convettive. 
I dati di Hubble mostrano l’altezza delle spesse nubi che costituiscono le torri convettive, nonché la profondità delle nubi cariche di acqua. I dati di Gemini rivelano chiaramente le zone più chiare nelle nubi, ai livelli più alti, dalle quali è possibile osservare le nubi più in profondità.

Queste immagini mostrano le osservazioni di Giove effettuate dal satellite Juno, dal telescopio spaziale Hubble e dall’Osservatorio Gemini, e una rappresentazione schematica delle strutture nuvolose e della circolazione atmosferica del pianeta dedotta dalle osservazioni. Combinando i dati dei tre strumenti, i ricercatori sono stati in grado di vedere che i fulmini si raggruppano in regioni turbolente dove ci sono nubi profonde cariche di acqua e dove l’aria umida si sta alzando per formare alte torri convettive simili a cumulonembi terrestri. L’immagine in basso mostra fulmini, torri convettive, nubi d’acqua profonde e radure nell’atmosfera di Giove. È basata sui dati di Juno, Hubble e Gemini e corrisponde alla sezione indicata con i due segmenti bianchi e le lettere T, C e W, nella mappa di Hubble e Gemini. La combinazione delle varie osservazioni può essere utilizzata per mappare la struttura della nube in tre dimensioni e inferire i dettagli della circolazione atmosferica. Le nubi spesse e torreggianti si formano dove l’aria umida sta salendo (upwelling e convezione attiva). Le radure si formano dove l’aria più secca affonda (downwelling). Le nubi mostrate si elevano fino ad altezze cinque volte superiori a quelle delle torri convettive nell’atmosfera terrestre. La regione illustrata copre un’estensione orizzontale di circa 6500 chilometri. Crediti: Nasa, Esa, M.H. Wong (Uc Berkeley), A. James and M.W. Carruthers (Stsci), and S. Brown (Jpl) ).

Wong pensa che i fulmini siano comuni in aree turbolente conosciute come regioni filamentose ripiegate, dove presumibilmente si sta verificando una convezione umida. «Questi vortici ciclonici potrebbero essere come delle ciminiere, contribuendo a rilasciare energia interna attraverso la convezione», spiega. «Non succede dappertutto, ma qualcosa in questi cicloni sembra facilitare la convezione». La capacità di correlare i fulmini con le nubi d’acqua profonde offre ai ricercatori un altro strumento per stimare la quantità di acqua presente nell’atmosfera di Giove, fondamentale per capire come si sono formati Giove e gli altri giganti gassosi e ghiacciati del Sistema solare, e come si è formato il Sistema solare stesso.

LINK : High-resolution UV/Optical/IR Imaging of Jupiter in 2016–2019” 

Precipitazioni:
Su Giove, si verificano violenti temporali con grandine di ammoniaca.
Questa è una nuova teoria, che è stata sviluppata utilizzando i dati del radiometro a microonde della sonda Juno della NASA, secondo cui i relativi ''funghi'' svolgono un ruolo chiave nelle dinamiche atmosferiche.

L’acqua è una sostanza importante nella meteorologia dei vari pianeti e si crede che svolga un ruolo fondamentale nella loro formazione ed accrescimento.
Come sulla Terra, l’acqua di Giove è mossa dai temporali e si ritiene che questi si formino all’interno della profonda atmosfera del pianeta, a circa 50 chilometri sotto le nubi visibili, dove la temperatura è vicina agli 0°C. Quando queste tempeste si rivelano abbastanza potenti, fanno risalire cristalli di ghiaccio d’acqua portandoli nell’atmosfera superiore.


I ricercatori degli Stati Uniti del Laboratoire Lagrange suggeriscono che quando questi cristalli interagiscono con l’ammoniaca gassosa, quest'ultima agisce come un antigelo, trasformando il ghiaccio in un liquido.
Su Giove come sulla Terra, una miscela di 2/3 di acqua e 1/3 di ammoniaca rimarrà liquida fino a una temperatura di -100°C. I cristalli di ghiaccio vengono quindi sciolti dai gas più caldi, formando un liquido acqua-ammoniaca e diventano chicchi di grandine esotici, soprannominati “funghi” dai ricercatori.
Divenuti pesanti, cadono in profondità nell’atmosfera, fino a raggiungere un punto in cui evaporano. Questo meccanismo trascina l’ammoniaca e l’acqua fino a livelli profondi nell’atmosfera del pianeta.

Le misurazioni di Juno hanno scoperto che mentre l’ammoniaca è abbondante vicino all’equatore di Giove, è altamente variabile e generalmente si esaurisce altrove, a pressioni molto profonde.
Per spiegare la scoperta della profonda variabilità dell’ammoniaca nella maggior parte del pianeta, i ricercatori hanno sviluppato un modello di miscelazione atmosferica presentato in cui spiegano le variazioni osservate dalla sonda in funzione della latitudine.

Altri ricercatori riportano osservazioni di lampi gioviani da parte di una delle telecamere di Juno.
I piccoli lampi appaiono come punti luminosi sulle cime delle nuvole, con dimensioni proporzionali alla loro profondità nell’atmosfera. A differenza delle precedenti missioni che avevano osservato solo lampi da regioni profonde, la vicinanza della sonda al pianeta ha permesso di rilevare lampi più piccoli e poco profondi.
Questi bagliori provengono da regioni in cui le temperature sono inferiori a -66°C e dove l’acqua da sola non può essere trovata allo stato liquido. Tuttavia, si ritiene che la presenza di un liquido sia cruciale per il processo di generazione del fulmine.


La distribuzione dei fulmini su Giove è alla rovescia rispetto alla Terra. C’è molta attività vicino ai poli di Giove, ma nessuna vicino all’equatore. Ma perché succede questo?
I fulmini seguono il calore, ecco spiegato il comportamento su entrambi i pianeti.
La zona equatoriale sulla Terra è quella che riceve maggior calore dal Sole, ed è dunque più facile trovare violenti temporali e scariche di fulmini nell’atmosfera corrispondente a quelle aree.
Su Giove è leggermente diverso, perché il gigante gassoso riceve dal Sole 25 volte meno calore rispetto al nostro pianeta. Come sulla Terra, l’equatore è la zona più “calda”, ma non abbastanza da creare instabilità nell’atmosfera. Ai poli l’atmosfera è meno stabile e ciò permette ai gas caldi provenienti dall’interno di Giove di salire, favorendo la convezione e quindi i fulmini.
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IL SORVOLO DELLA SONDA JUNO:

GIOVE offerto da MEDIA INAF

LA GRANDE MACCHIA ROSSA


La Grande Macchia Rossa è una vasta tempesta anticiclonica, posta a 22° sotto l'equatore del pianeta Giove, che dura da almeno 300 anni. La tempesta, la più grande del sistema solare, è visibile dalla Terra anche con telescopi amatoriali.
La Grande Macchia Rossa ruota in verso antiorario, con un periodo di sei giorni terrestri, corrispondenti a 14 giorni gioviani. Misura 24-40 000 km da ovest ad est e 12-14 000 km da sud a nord. La macchia è sufficientemente grande da contenere tre pianeti delle dimensioni della Terra. All'inizio del 2004 la Grande Macchia Rossa aveva approssimativamente la metà dell'estensione longitudinale che aveva un secolo prima, quando misurava 40 000 km in diametro. All'attuale velocità di riduzione potrebbe diventare circolare nel 2040, sebbene ciò sia improbabile a causa degli effetti distorsivi delle correnti a getto vicine ad essa. Non è noto quanto possa durare la macchia o se i cambiamenti osservati siano il risultato di fluttuazioni normali.
Il diametro della Macchia Rossa è diminuito nel corso del XX secolo. Dall'inizio del XXI secolo pare ridursi ad un ritmo più elevato, di quasi 1000 km all'anno, e la forma sta cambiando da quella di un ovale a quella di un cerchio. La dimensione misurata nel senso da nord a sud è cambiata poco, mentre è diminuita notevolmente la dimensione da est a ovest. Se alla fine dell'ottocento sulla base di osservazioni storiche la Macchia Rossa aveva un diametro di 41 000 km, nel 1979 il diametro si era ridotto a circa 23 000 km al tempo del passaggio della Voyager 2, per poi diminuire ulteriormente nel 1995 a 20 000 e a 17 700 km nel 2009. È tuttavia a partire dal 2012 che si è osservato, dopo alcune segnalazioni di astronomi amatoriali, che la Macchia si sta riducendo a ritmi più serrati, di quasi 1000 km all'anno. In base a osservazioni compiute dal telescopio spaziale Hubble, nel 2014 il diametro massimo della Macchia Rossa è sceso a 16 500 km, il valore più piccolo mai misurato dagli astronomi.
Confronto con la Terra in scala ).

Osservazioni nell'infrarosso hanno indicato che la Grande Macchia Rossa è più fredda (e quindi, raggiunge altitudini maggiori) della maggior parte delle altre nubi sul pianeta (con una temperatura che è inferiore a −160 °C (113 K)); lo strato più alto di nubi della Grande Macchia Rossa svetta di circa 8 km dagli strati circostanti. Inoltre, la circolazione antioraria della macchia è attestata dal 1966 grazie ad un attento monitoraggio delle strutture atmosferiche gioviane ed è stata confermata dai primi filmati inviati dalle sonde Voyager.
Nel 2010, grazie ad un gruppo di ricerca guidato dall'Università di Oxford che si è servita del Very Large Telescope dell'ESO e del telescopio Gemini Sud (entrambi situati in Cile) e del telescopio giapponese Subaru nelle Hawaii i ricercatori hanno potuto osservare regioni della Grande Macchia Rossa di Giove mai osservate prima, notando che il colore più rosso corrisponde a un "nucleo" caldo all'interno di una tempesta più fredda, con linee scure ai confini della stessa dove i gas si inabissano nelle regioni più profonde del pianeta. Gli astronomi hanno ricostruito una mappa di temperatura, aerosol e ammoniaca della tempesta per comprendere come la circolazione cambia nello spazio e nel tempo. La parte centrale della macchia, di colore arancio-rosso, è di circa 3 o 4 gradi più calda rispetto all'ambiente circostante; questa differenza di temperatura è abbastanza marcata da permettere alla circolazione della tempesta, di solito antioraria, di cambiare senso divenendo debolmente oraria nella regione centrale. Anche in altre parti di Giove, la variazione di temperatura è sufficiente per alterare le velocità del vento e influenzare gli schemi di nubi nelle diverse fasce e zone. Sul suo confine meridionale la macchia è confinata spazialmente da una corrente a getto di modesta entità e diretta verso est (prograda) mentre sul suo confine settentrionale è confinata da una corrente a getto molto potente e diretta verso ovest (retrograda). Sebbene i venti intorno ai lati della macchia soffino a circa 120 m/s (430 km/h), le correnti all'interno di essa sembrano stagnanti, con pochi flussi in ingresso o in uscita. Il periodo di rotazione della macchia è diminuito col tempo, forse come conseguenza della costante riduzione nelle dimensioni.
La sonda JUNO ha analizzato la profondità della GMR ).

La latitudine della Grande Macchia Rossa è rimasta stabile per tutto il tempo in cui sono disponibili osservazioni attendibili, variando tipicamente entro un grado. La sua longitudine, tuttavia, varia costantemente. Poiché Giove non ruota uniformemente a tutte le latitudini (presenta infatti una rotazione differenziale come anche gli altri giganti gassosi), gli astronomi hanno definito tre differenti sistemi per definirne la latitudine. Il sistema era usato per le latitudini superiori ai 10° ed era originariamente basato sulla velocità media di rotazione della Grande Macchia Rossa, pari a 9h 55m 42s. Nonostante ciò, la macchia ha doppiato il pianeta nel II sistema almeno 10 volte dai primi dell'Ottocento. La sua velocità di deriva è cambiata sensibilmente negli anni ed è stata correlata alla luminosità della banda equatoriale meridionale (South Equatorial Belt, SEB) ed alla presenza o assenza di un disturbo tropicale meridionale (South Tropical Disturbance, STrD).
Evoluzione osservativa della GMR ).

Non è ancora noto cosa determini la colorazione rossa della macchia. Alcune teorie supportate da dati sperimentali suggeriscono che il colore possa essere causato da complesse molecole organiche, fosforo rosso o un composto dello zolfo. La Grande Macchia Rossa varia notevolmente in gradazione, dal rosso mattone al salmone pastello, ed anche al bianco. La macchia scompare occasionalmente, rimanendo evidente soltanto per il buco (Red Spot Hollow) che è la sua nicchia nella banda equatoriale meridionale (SEB). La visibilità della Macchia è apparentemente accoppiata con l'aspetto della banda equatoriale meridionale: quando la banda è di un bianco brillante, la macchia tende ad essere scura; quando la banda è di colore scuro, la macchia è abitualmente luminosa. I periodi in cui la macchia è scura o luminosa si ripetono con intervalli irregolari: ad esempio la macchia era scura nel 1997, e nei cinquant'anni precedenti, nei periodi compresi tra 1961–66, 1968–75, 1989–90 e 1992–93.
La Grande Macchia Rossa non deve essere confusa con la Grande Macchia Scura (Great Dark Spot), una struttura osservata nel 2000 in prossimità del polo nord del pianeta dalla sonda Cassini; va notato che anche una struttura atmosferica di Nettuno è chiamata Grande Macchia Scura. Quest'ultima fu osservata dalla sonda Voyager 2 nel 1989 e potrebbe trattarsi di un buco nell'atmosfera del pianeta piuttosto che di una tempesta; inoltre non è stata osservata nel 1994 (sebbene una macchia simile sia apparsa più a nord).
Tempeste simili sono state osservate su Saturno, che ha avuto brevemente grandi macchie bianche. Né si deve pensare che la Grande Macchia Rossa sia l'unica tempesta su Giove. Sul pianeta infatti compaiono numerose altre tempeste di minore entità, indicate genericamente come ovali bianchi o bruni a seconda del colore e generalmente senza una denominazione. Gli ovali bianchi sono in genere composti da nuvole relativamente fredde nell'alta atmosfera. Gli ovali marroni sono più caldi, e si trovano ad altezza normale. Queste tempeste possono durare indifferentemente poche ore o molti secoli.
Dal 2000 la fusione di tre grandi ovali bianchi ha portato alla formazione di una nuova grande tempesta che da allora è andata sempre intensificandosi. Denominata ufficialmente Ovale BA è stata chiamata informalmente Piccola Macchia Rossa e Macchia Rossa Jr. quando ha iniziato a colorarsi di rosso.
Evoluzione dell'Ovale BA sotto la GMR e la Macchia Rossa Junior ).

Le simulazioni suggeriscono che la Macchia possa assorbire tempeste più piccole, e in effetti episodi simili sono stati intravisti al telescopio. In particolare, all'inizio del 2008 la NASA ha scoperto un'altra nuova frammentazione della Grande Macchia Rossa, denominata Macchia Rossa Neonata (Baby Red Spot), una piccolissima formazione ciclonica distaccatasi dalla Grande Macchia Rossa che all'inizio di ottobre 2008 è stata riassorbita nuovamente dopo un transito.

Il primo avvistamento della Grande Macchia Rossa è spesso accreditato a Robert Hooke, che descrisse una macchia su Giove nel maggio 1664; tuttavia, è probabile che la macchia di Hooke fosse nella banda sbagliata (la banda equatoriale settentrionale, rispetto alla posizione attuale nella banda equatoriale meridionale). Più convincente risulta la descrizione di Giovanni Cassini di una "macchia permanente", fornita l'anno seguente. Con fluttuazioni nella visibilità, la macchia di Cassini fu osservata dal 1665 al 1713.
Un mistero minore è relativo ad una macchia gioviana ritratta nel 1711 in un dipinto da Donato Creti, esposta nella Pinacoteca vaticana. Il dipinto è parte di una serie di pannelli, le Osservazioni astronomiche, in cui differenti corpi celesti (ingranditi) fanno da sfondo a varie scene italiane; la creazione di questa serie è stata supervisionata dall'astronomo Eustachio Manfredi per garantirne l'accuratezza. Il dipinto di Creti è la prima rappresentazione a riportare la Grande Macchia Rossa di colore rosso. Nessuna struttura gioviana era stata descritta di quel colore prima del tardo Ottocento.
La Grande Macchia Rossa attuale fu vista solo dopo il 1830 e ben studiata solo dopo un'apparizione di rilievo del 1879. Un salto di 118 anni separa le osservazioni del 1830 dalla sua scoperta, nel XVII secolo; non è noto se la macchia originaria si sia dissolta e poi ricostituita, se sia sbiadita, o anche se i resoconti delle osservazioni furono semplicemente di scarsa qualità. Le macchie più vecchie ebbero una storia osservativa più breve ed un moto più lento rispetto alla macchia attuale e ciò rende la loro identificazione incerta.
Il 25 febbraio 1979, quando la Voyager 1 era a 9,2 milioni di km da Giove, trasmise a Terra la prima immagine dettagliata della Grande Macchia Rossa. Erano riconoscibili dettagli nuvolosi delle dimensioni minime di 160 km. Il colorato motivo ondoso delle nuvole ad ovest (sinistra) della Grande Macchia Rossa è la regione di coda della macchia, dove sono osservabili moti nuvolosi estremamente complessi e variabili.



Grazie alle osservazioni di Hubble e Gemini, in concomitanza a quelle di Juno, gli scienziati sono anche in grado di studiare i cambiamenti a breve termine del gigante gassoso, come ad esempio quelli che avvengono nella Grande Macchia Rossa.
Le immagini di Juno e le precedenti missioni su Giove avevano rivelato caratteristiche zone scure all’interno della Grande Macchia Rossa che appaiono, scompaiono e cambiano forma nel tempo. Dalle singole immagini non era chiaro se queste fossero causate da un misterioso materiale di colore scuro all’interno dello strato di nubi o se fossero invece buchi nelle nubi stesse, come finestre che si affacciano su uno strato più profondo e più scuro, al di sotto.

Le immagini della Grande Macchia Rossa di Giove sono state realizzate utilizzando i dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble e dall’Osservatorio Gemini il primo aprile 2018. Combinando le osservazioni catturate quasi contemporaneamente dai due diversi telescopi, gli astronomi sono stati in grado di capire che le chiazze scure che appaiono nella macchia sono buchi nelle nuvole piuttosto che masse di materiale più scuro. In alto a sinistra, e nel riquadro in basso a sinistra dove è stato riportato un dettaglio, si vede l’immagine di Hubble (ripresa alle lunghezze d’onda del visibile) della luce solare che si riflette sulle nubi dell’atmosfera di Giove e si notano delle zone scure all’interno della Grande Macchia Rossa. In alto a destra è riportata un’immagine a infrarossi della stessa area ripresa dal telescopio Gemini, che mostra il calore emesso sotto forma di raggi infrarossi. Le nubi sovrastanti fredde appaiono come regioni scure, ma le schiarite tra le nubi consentono all’emissione infrarossa di sfuggire dagli strati più caldi sottostanti. In basso al centro, un’immagine ultravioletta di Hubble mostra la luce solare diffusa dalle nebbie nella Grande Macchia Rossa, che appare rossa alla luce visibile perché queste nebbie assorbono le lunghezze d’onda blu. I dati di Hubble mostrano che le nebbie continuano ad assorbire anche a lunghezze d’onda ultraviolette più brevi. In basso a destra è riportata un’immagine composita di Hubble e Gemini che mostra la luce visibile in blu e l’infrarosso in rosso. Le osservazioni combinate mostrano che le aree luminose nell’infrarosso sono radure o luoghi in cui c’è meno copertura nuvolosa che blocca il calore dall’interno. Crediti: Nasa, Esa, and M.H. Wong (Uc Berkeley) and team ).

Ora, con la possibilità di confrontare le immagini nel visibile di Hubble con le immagini a infrarossi di Gemini, catturate a poche ore l’una dall’altra, è possibile rispondere a questa domanda. In particolare, le regioni che sono scure alla luce visibile sono molto luminose nell’infrarosso, indicando come in realtà siano di fatto buchi nelle nubi. In queste regioni, non coperte dalle nubi, il calore proveniente dall’interno di Giove emesso sotto forma di luce infrarossa, e bloccato dalle nubi degli strati più alti, è libero di fuggire nello spazio e appare luminoso nelle immagini di Gemini.

Tempeste eruttive:
Le chiamano eruzioni ma sono solo un fenomeno atmosferico, adesso confermato dalle immagini del radiotelescopio ALMA e dell' HUBBLE. Si tratta di tempeste nell’atmosfera di Giove che, in modo simile a un temporale terrestre, fanno risalire cumuli d'ammoniaca riscaldata da strati più bassi, per poi emergere platealmente dalla cima delle nubi ghiacciate che avvolgono il pianeta.
ALMA, ha permesso di realizzare una panoramica unica dell’atmosfera di Giove, potendo ''vedere'' giù fino a circa cinquanta chilometri sotto il manto superficiale di nubi d’ammoniaca che avvolgono il pianeta.

Immagine radio di Giove realizzata con Alma. Le bande luminose indicano temperature più alte e corrispondono alle cinture del pianeta che appaiono marroni in luce visibile, mentre le bande scure rappresentano temperature più basse e corrispondono alle zone di Giove che sono spesso bianche a lunghezze d’onda visibili. Questa immagine contiene oltre 10 ore di dati, quindi i dettagli fini sono offuscati dalla rotazione del pianeta. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), I. de Pater et al.; NRAO/AUI NSF, S. Dagnello ).

L’atmosfera di Giove è composta principalmente da idrogeno ed elio, insieme a tracce di gas metano, ammoniaca, acido solfidrico e acqua. Lo strato più alto di nuvole è costituito da ghiaccio di ammoniaca. Al di sotto c’è uno strato di particelle solide di idro-solfuro di ammonio, e ancora più in profondità, a circa 80 chilometri sotto il livello superiore, si trova probabilmente uno strato di nuvole di acqua liquida. Le variazioni nelle nuvole superiori danno origine alle ben note differenti colorazioni delle cinture marroni e delle zone bianche.

Molte delle tempeste su Giove hanno luogo all’interno di quelle cinture. Possono essere paragonate ai temporali sulla Terra e sono spesso associate a comparsa di fulmini.
Le tempeste si rivelano in luce visibile come piccole nuvole luminose, chiamate pennacchi. L’eruzione di questi pennacchi può causare una grave frattura nella cintura, una perturbazione che può rimanere visibile per mesi o anche anni.
I dati hanno mostrato che queste nuvole temporalesche raggiungevano l’apice della tropopausa – la parte più fredda dell’atmosfera – dove si estendevano in modo simile ai cumulonembi a forma di incudine.

Questa illustrazione della “convezione umida” nell’atmosfera di Giove mostra un pennacchio in crescita che origina a circa 80 chilometri al di sotto delle cime delle nuvole, dove la pressione è cinque volte quella sulla Terra (5 bar) e che, risalendo attraverso regioni dove l’acqua si condensa, forma idrosolfuro di ammonio e l’ammoniaca si congela in ghiaccio, proprio sotto il punto più freddo dell’atmosfera, la tropopausa. Crediti: adattato da un’illustrazione di Leigh Fletcher, Università di Leicester ).

Le osservazioni di ALMA sono le prime a mostrare che alte concentrazioni di ammoniaca gassosa vengono sollevate durante un’eruzione energica.
La combinazione di osservazioni simultanee a diverse lunghezze d’onda ci ha permesso di esaminare l’eruzione in dettaglio. Questo ci ha portato a confermare l’attuale teoria secondo cui l’emersione dei pennacchi è innescata dalla convezione umida alla base delle nuvole d’acqua, che si trovano in profondità nell’atmosfera. I pennacchi portano il gas di ammoniaca dal profondo dell’atmosfera alle alte quote, ben al di sopra del manto superficiale di nuvole.
Secondo la teoria della convezione umida (moist convection), le correnti convettive portano un mix di ammoniaca e vapore acqueo in una quota sufficientemente alta – circa 80 chilometri al di sotto della cime delle nuvole – da consentire all’acqua di condensarsi in goccioline liquide. L’acqua di condensa rilascia calore, che espande la nuvola e la fa risalire rapidamente verso l’alto attraverso altri strati di nuvole, rompendo infine le nuvole di ghiaccio di ammoniaca nella parte superiore dell’atmosfera.
L’inerzia acquisita dal pennacchio trasporta la nuvola di ammoniaca sopra lo strato ghiacciato di nuvole esistenti, fino a quando la nuova ammoniaca non si congela a sua volta, creando un pennacchio bianco brillante che si staglia contro le fasce colorate che circondano Giove.

LINK-(EN): https://arxiv.org/abs/1907.11820 

Gli Anelli
Il sistema degli anelli di Giove, consiste principalmente di polveri, presumibilmente silicati, ed è suddiviso in quattro parti principali: un denso toro di particelle noto come anello di alone; una fascia relativamente brillante, ma eccezionalmente sottile nota come anello principale; due deboli fasce più esterne, detti anelli Gossamer (letteralmente garza), che prendono il nome dai satelliti il cui materiale superficiale ha dato origine a questi anelli, quello di Amaltea (anello Gossamer di Amaltea) e di Tebe (anello Gossamer di Tebe). (vedi schede sotto)


L'impatto con la cometa Shoemaker-Levy 9:

IMPATTO su GIOVE offerto da MEDIA INAF

La cometa Shoemaker-Levy 9 (formalmente designata 1993e e D/1993 F2) è divenuta famosa perché è stata la prima cometa ad essere osservata durante la sua caduta su un pianeta. Scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn S. Shoemaker e da David Levy, analizzando lastre fotografiche dei dintorni di Giove, destò immediatamente l'interesse della comunità scientifica; non era mai accaduto infatti che una cometa fosse scoperta in orbita attorno ad un pianeta e non al Sole. Catturata tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta da Giove, le interazioni tra il gigante gassoso e la cometa ne avevano causato la disgregazione in 21 frammenti. Nel 1993 si presentava all'osservatore come una lunga fila di punti luminosi immersi nella luminescenza delle loro code, indicati spesso sui giornali come "la collana di perle".
( Le macchie scure sono le aree di impatto dei frammenti della SL9 ).
Gli studi dell'orbita della cometa portarono alla conclusione che essa sarebbe precipitata sul pianeta nel luglio del 1994. Fu quindi avviata un'estesa campagna osservativa che coinvolse numerosi osservatori a Terra e diverse sonde nello spazio per la registrazione dell'evento. Tra il 16 ed il 22 luglio del 1994, i frammenti della cometa caddero su Giove in un vero e proprio bombardamento. Le macchie scure che si formarono sul pianeta furono osservabili dalla Terra per diversi mesi prima di essere riassorbite dall'atmosfera di Giove. L'evento ebbe una rilevanza mediatica considerevole, ma contribuì notevolmente anche alle conoscenze scientifiche sul Sistema solare. In particolare, permise di effettuare misurazioni sugli strati profondi dell'atmosfera gioviana, normalmente inaccessibili, e sottolineò il ruolo svolto da Giove nel ridurre i detriti spaziali presenti nel Sistema solare interno.
( I vari frammenti della cometa SL9 prima dell'impatto ).
L'impatto di un secondo oggetto sul pianeta è stato osservato fortuitamente il 19 luglio 2009, 15 anni dopo l'impatto della Cometa Shoemaker-Levy 9. L'evento è stato segnalato da un astrofilo australiano, Anthony Wesley, e rapidamente confermato grazie alle osservazioni nell'infrarosso dell'Infrared Telescope Facility della NASA, presente presso l'osservatorio di Mauna Kea, alle Hawaii.

Impatto del 7 agosto 2019
Un grande oggetto celeste ha colpito la densa atmosfera superficiale di Giove, producendo un bagliore (bolide) che è stato catturato da un astrofotografo amatoriale mentre filmava il gigante gassoso attraverso il suo telescopio. Poiché il flash di luce bianca è stato visibile dalla Terra, si ritiene che l'impatto contro la tempestosa atmosfera gioviana sia stato causato da un oggetto piuttosto grande, un asteroide o magari una cometa, anche se al momento non è possibile stimarne massa e dimensioni.
Il merito di questa scoperta è del texano Ethan Chappel, che alle 06:07 ora italiana del 7 agosto stava filmando il pianeta dal proprio giardino di casa. 
Il flash di luce è visibile appena sotto l'equatore di Giove, a circa 60° a Ovest dalla famosa Grande Macchia Rossa.


Fotogrammi dell'impatto che ha riguardato Giove il 07/08/2019 ).

Tanti satelliti
Di Giove attualmente si conoscono 79 satelliti (leggi qui: Tutti i satelliti naturali di Giove ) , tra questi i quattro più grandi, GanimedeCallistoIo, e Europascoperti da Galileo, mostrano analogie con i pianeti terrestri, come fenomeni di vulcanismo e calore interno di origine mareale.
Più interni ai satelliti Medicei di trovano 4 piccole lune regolari: MetisAdrastea, AmaltheaThebe.

SCHEDA RIASSUNTIVA DI GIOVE:

SISTEMA DI GIOVE:
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A cura di Andreotti Roberto.


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